Tutto il settore delle energie rinnovabili è oggi in sofferenza in Italia. Il governo ha dato una drastica sforbiciata agli incentivi concessi a questa tecnologia o addirittura li ha annullati. Il settore si è fermato e molte aziende sono in crisi. Il futuro delle rinnovabili appare seriamente ipotecato. Ma è colpa del governo Monti, che ha preso questi provvedimenti?
La nostra risposta è no. La colpa è invece di un sistema di sovvenzioni al solare fuori controllo che ha scatenato una vera e propria ingordigia e mandato fuori controllo i costi dell’elettricità consumata da milioni di utenti. Noi pensiamo che si sia trattato di un pessimo intervento di cosiddetta “politica industriale”, un cedimento alla pressione di diversi gruppi di interesse, che hanno utilizzato ingenti risorse in modo del tutto inefficiente e ingiusto. La sintesi brutale è che il mezzo si è mangiato il fine. Non solo questa modalità di sostegno al fotovoltaico non ha giovato al suo avanzamento tecnologico, né allo sviluppo di una sua filiera industriale nazionale, ma, peggio, ha affossato il mondo delle rinnovabili.
Green economy. Sono stati soldi ben spesi?
n pochi anni, anzi in pochi mesi, come si spiega nelle pagine successive, si sono bruciate risorse finanziarie ingenti, la cui conseguenza è oggi un ulteriore aumento del prezzo finale dell’energia elettrica. Alla data in cui scriviamo, il costo cumulato annuo degli incentivi dati all’energia fotovoltaica è di 6,5 miliardi. Centotrenta miliardi grosso modo nei prossimi 20 anni. Si tratta, probabilmente, del più grosso intervento di “politica industriale” realizzato dall’Italia negli ultimi tempi. La scelta, infatti, di corrispondere incentivi di questo peso e di questa durata è stata presa con decisioni pubbliche del governo e del Parlamento. È una cifra enorme 6,5 miliardi all’anno. L’equivalente del costo di due nuove linee metropolitane di 50 km ogni anno. Di un treno veloce Napoli-Bari. Di un’autostrada nuova di 1.200 km, ogni anno. Con la stessa cifra si potrebbe garantire la vita degli 8 milioni di studenti d’Italia con la messa in sicurezza di tutte e 42mila scuole di ogni ordine e grado. Si potrebbero bonificare i 57 SIN, (siti d’interesse nazionale), aree contaminate a tal punto da mettere in pericolo persino la salute di quei 9 milioni di cittadini che ci vivono. Basterebbero appena due anni di incentivi per risolvere a livello nazionale il problema della gestione dei rifiuti e superare definitivamente il sistema delle discariche. Per tamponare le emergenze del dissesto idrogeologico lo Stato stanzia 2 miliardi in 10 anni (4.800 interventi inderogabili contro i 15mila previsti dal PAI). Gli incentivi al solare costano 3 volte di più in un decimo dell’arco temporale. Con 6,5 miliardi all’anno si potrebbero restaurare definitivamente Pompei, Ercolano, Paestum, la valle dei Templi, il Palatino, la Domus aurea, il Colosseo e altre centinaia di siti archeologici e musei che giacciono in condizioni precarie. Ci sono molti altri settori della green economy dove una cifra siffatta avrebbe prodotto risultati in termini ambientali e occupazionali molte volte maggiori. Se una modesta parte di questi incentivi, per esempio 1 miliardo all’anno, fosse stata dedicata a progetti di sviluppo tecnologico probabilmente oggi avremmo la leadership del settore nel mondo. Invece…
La capacità installata non certifica il valore della tecnologia
I sostenitori dell’energia solare rivendicano il grande successo di questa tecnologia in Italia come una prova delle loro ragioni. In effetti, in Italia alla fine del 2012 risultavano installati 16 GW solari. Più del doppio rispetto a quelli installati negli Usa (6,4 GW) e Cina (7 GW). Solo la Germania ci supera. Ma se avessimo concesso gli stessi incentivi 6 7 Chi ha ucciso le rinnovabili? (6,5 miliardi all’anno) a qualsiasi altro settore probabilmente avremmo constatato un analogo enorme sviluppo. O se avessimo remunerato con il 20% dei denari investiti l’apertura di buche in aperta campagna, credo che molti si sarebbero trasformati in scavatori solerti. Ugualmente si rivendica la caduta dei prezzi dei pannelli solari come una prova del successo di questa politica di incentivi. Certo, con 50 miliardi di investimenti in pochi anni probabilmente sarebbe caduto anche il prezzo del caviale. Peccato che a pagare questo conto, di cui hanno beneficiato essenzialmente produttori stranieri, principalmente cinesi, siano stati alcuni Paesi europei, fra cui l’Italia.
Il successo nel nostro Paese di questa tecnologia non dimostra quindi niente. Anzi dimostra con chiarezza una cosa: che si è dato vita al business più proficuo e redditizio degli ultimi anni. Una vera e propria corsa all’oro a cui hanno partecipato in tanti, assicurandosi rendite certe per i prossimi vent’anni. Molti presentano il settore dell’energia fotovoltaica come un settore di forte innovazione tecnologica e parole come green economy e green job, si sprecano. Sì, è il ragionamento implicito, stiamo spendendo tanto, ma stiamo producendo una vera rivoluzione tecnologica. Vediamo allora qual è stato il business model (come si sono fatti i soldi) del fotovoltaico e quali sono le sue ricadute tecnologiche per l’industria italiana.
Il business fotovoltaico alla moviola
L’investimento in energia solare ha in realtà le stesse identiche caratteristiche dell’investimento immobiliare. La stessa identica catena del valore, con qualche peggioramento. Tutto comincia con le autorizzazioni che devono consentire di rendere un terreno agricolo atto ad ospitare un impianto fotovoltaico. Esattamente come fa lo speculatore immobiliare, che deve rendere edificabile un suolo agricolo. L’interessato si rivolgerà quindi al proprietario del terreno per proporgli l’acquisto o l’affitto del medesimo. Normalmente tale pagamento è subordinato all’effettivo ottenimento dell’autorizzazione, così da non correre rischi pagando un terreno che potrebbe rivelarsi inadatto ad ottenere le autorizzazioni.
A questo punto il soggetto interessato inizierà il “giro delle sette chiese” per ottenere le autorizzazioni. Una ventina di permessi diversi sono richiesti e una massa di faccendieri ha scarpinato su e giù per i diversi uffici cercando di portare a casa l’agognata licenza a costruire l’impianto. Raramente i grandi investitori hanno svolto questa funzione. Hanno preferito comprare autorizzazioni già ottenute da soggetti capaci di “convincimento” nei confronti delle Amministrazioni locali. Nel bene e nel male. A questo punto, acquisito il terreno e ottenuta l’autorizzazione, esattamente come nel caso di un nuovo sviluppo immobiliare, inizia la fase del finanziamento e della costruzione dell’immobile, pardon, dell’impianto fotovoltaico. Spesso il soggetto che inizia questa seconda fase è diverso da quello che ha ottenuto l’autorizzazione. Quest’ultimo preferisce solitamente cedere e riscuotere, raramente disponendo della capacità finanziaria per affrontare l’investimento. Un megawatt solare infatti, costa alcuni milioni. Fra i 4 e i 5 all’inizio di questa storia. Intorno ai 2 oggi.
E vedremo il perché di questa diminuzione dei costi. Chi deve realizzare l’impianto fa esattamente come chi deve costruire un immobile. Si rivolge a una banca, con la quale stipula un bel “mutuo”. Con un rapporto fra denaro proprio e denaro prestato da sogno: 20% contro 80%. Le banche infatti sanno che i ricavi del futuro impianto fotovoltaici sono garantiti, senza alcun rischio, dalle bollette e quindi elargiscono con facilità, facendosi cedere, in caso di morosità, i futuri incassi. A questo punto, ottenuto il finanziamento, il nostro investitore contatterà un EPC, cioè un costruttore che si impegna a realizzare l’immobile, pardon, l’impianto fotovoltaico “chiavi in mano”. In pochi mesi tutto sarà fatto, perché le difficoltà costruttive sono molto basse, gli impianti fotovoltaici sono facilmente replicabili; e una volta terminato lo consegnerà al proprietario. Dal momento dell’entrata in funzione, il proprietario comincerà a percepire una somma fissa, perfettamente prevedibile, prelevata dal GSE sulle bollette di tutti gli italiani. È come, in altre parole, se l’impianto in questione riscuotesse un canone d’affitto stabilito per legge. E senza il rischio della morosità, visto che tutto è garantito per legge e i soldi arrivano dalle bollette. O, in alternativa, esattamente come avviene nel settore immobiliare, una volta realizzato l’impianto lo cede a un altro investitore che acquista fondamentalmente i flussi di cassa, i futuri incassi, che da esso derivano.