Le tre federazioni Cgil, Cisl e Uil di categoria del settore scrivono al ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera e lanciano l’allarme: in gioco ci sono mille posti di lavoro. La crisi economica ha ridotto la domanda elettrica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili ha eroso il mercato tradizionalmente coperto dalla generazione termoelettrica, con il risultato che oggi le centrali a gas, spesso ad altissima efficienza, rimangono sotto utilizzate, generando un aumento dei costi.
I dati sono chiarissimi: nel 2008, prima dell’esplosione della crisi internazionale, la domanda elettrica aveva sfiorato i 340 miliardi di kWh. Questa domanda era stata coperta attraverso 40 miliardi di kWh di importazioni, 261 miliardi di generazione termoelettrica e 58 miliardi di fonti rinnovabili, che per oltre l’80 per cento venivano dall’idroelettrico. Nel 2011 la richiesta sulla rete è scesa a 332 miliardi di kWh, coperti da soli 217 miliardi di termoelettrico e da oltre 72 miliardiu di kWh di rinnovabili, di cui soltanto due terzi offerti dall’idroelettrico.
Se si considera che nel 2012 la produzione complessiva da fotovoltaico potrebbe superare i 17 miliardi di kWh e quella da eolico sfiorare i 14 milirdi si comprende perché le sigle sindacali siano in allarme. “Il Settore che produce energia elettrica da combustibili fossili – scrivono i sindacati – è caratterizzato da una consistente presenza di centrali termoelettriche a gas metano ad alta efficienza, da poche centrali a carbone che, se si esclude quella Enel sita nel comune di Civitavecchia, sono piuttosto vecchie con le inevitabili conseguenze sia in termini di rendimento che di emissioni, da vecchie centrali termoelettriche ad olio combustibile che vengono utilizzate solo nei casi di emergenza quando, come è purtroppo accaduto, viene a mancare il gas metano.
In una situazione di significativo calo della domanda e di crescita vertiginosa della produzione elettrica da fonti rinnovabili che, lo ricordiamo, vengono sostenute da generosi incentivi e dispacciate prioritariamente, il settore termoelettrico è messo in crisi con le ripercussioni negative sia sul versante dell’occupazione che sull’efficienza complessiva del sistema elettrico del Paese”.
“Una efficace programmazione energetica dovrebbe – aggiungono i sindacati – preservare e rendere più efficace il settore termoelettrico nazionale senza il quale, come è ovvio, non può essere garantita la continuità della fornitura elettrica. Alla realizzazione dei rigassificatori, per diversificare l’approvvigionamento del gas, e di centrali nuove a carbone pulito, deve affiancarsi la modernizzazione delle centrali a carbone esistenti, utilizzando le migliori tecnologie in commercio, compreso quelle che attengono alla cattura delle CO2, come necessaria diversificazione al gas. Mentre le vecchie centrali ad olio, se non riconvertibili, vanno tenute efficienti in quanto potenza elettrica effettivamente disponibile, fintanto che non siano sostituibili da potenza prodotta da altre fonti energetiche altrettanto sicure in termini di disponibilità e flessibilità.
Al riguardo, ricordiamo che a tutt’oggi giacciono presso le Istituzioni e Ministeri competenti, concreti progetti per la riconversione e costruzione di alcune centrali a “carbone pulito” (Vado Ligure, Monfalcone, Porto Tolle, Saline Ioniche, Fiume Santo, Rossano Calabro, Brindisi) che, se rapidamente autorizzati, contribuirebbero a rendere stabile ed efficiente il sistema Paese, a creare migliaia di posti di lavoro e, in considerazione del volume degli investimenti in gioco, che ammontano ad alcuni miliardi di euro, rilanciare l’economia locale di molti territori”.